Stimato signor Orban,
conosco anch’io il proverbio ceco da lei citato e lo condivido da linguista e ancor prima da cittadino europeo ed italiano. Mi stupisce invece la sua concezione del multilinguismo. Se parliamo una lingua degli altri diventa nostra, non è più degli altri. In letteratura ci sono diversi casi studio di parlanti che adottano una lingua non nativa considerandola loro, amandola e curandola, proprio come si adotta un bambino. Le segnalo a questo proposito il bel articolo di Djite (2006) in lingua inglese.
La ragione per cui l’esperanto non può diventare una lingua comune dell’Unione non è legislativa, e questo lei lo sa benissimo. È solo politica. Ovviamente l’esperanto non può e non vuole diventare una lingua ufficiale al pari delle 23 attuali: sarebbe poco corretto. L’esperanto non è una lingua ufficiale di uno stato membro dell’Unione, si candida ad essere qualcosa di diverso. Attualmente il suo status sociolinguistico assomiglia a quello di una lingua minoritaria, non certo a una lingua nazione. A questo proposito cito, molto immodestamente, il mio contributo del 2005, sempre in lingua inglese.
Condivido invece le premesse della sua seconda ragione contro l’esperanto, ma non le conclusioni: ci vuole uno sforzo di language engineering, ingegnieria linguistica, per creare ex novo settori del suo vocabolario (corpus planning). Ma questo, da linguista, mi sembra un problema trascurabile. Gli ebrei ci hanno costruito uno stato rimettendo a nuovo una lingua non più parlata da millenni. Il caso dell’ebraico moderno è esemplare. Si legga il bel libro di Hagège in francese.
Certo, questo ha delle conseguenze finanziarie. Ma a vantaggio di moltissimi cittadini europei non di madrelingua inglese, come nel rapporto Grin commissionato dal Ministero francese, citatissimo dagli esperantisti.
Il terzo punto suo è completamente errato, e nasce da un fraintendimento: l’espressione “lingua franca”, come mostrato da Robert Phillipson, è troppo polisemica. Non si può mettere sullo stesso piano la lingua franca storica, un pidgin del Mediterraneo in epoca medievale, con le lingue pianificate a vocazione ausiliaria come l’esperanto, o con il latino! Sono fenomeni linguistici totalmente diversi. La invito a far aggiornare il suo staff di responsabili di comunicazione per evitare simili gaffe in futuro.
Comunque non si illuda: la politica linguistica del lasciar fare che lei propugna, perché tanto non si imporrà mai una lingua franca, farà sì che l’Europa rimanga alla periferia dell’Occidente e del mondo intero, in balia dei capricci d’oltreoceano. It’s a matter of fact.
E i cittadini europei? Nel balbettare l’inglese, formeranno un pidgin come il gustoso europanto.
Sed se nicht vol omni europanos speakare this lingua believante anglese esse, besser no laissez-faire realpolitik sed brava courage idealpolitik pro doner solida cultural identity. O vou prefere doner kebab identity? No esse de same!
Bibliografia
Djite, Paulin. 2006. “Shifts in linguistic identities in a global world”. Language Problems and Language Planning 30:1, 1–20.
Gobbo, Federico. 2005. “The European Union’s Need for an International Auxiliary Language”. Journal of Universal Language, March 2005, 1-28.
Hagége, Claude. 2000. Halte à la mort des langues. Paris, Odil Jacob.
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Wednesday, February 13, 2008
Lettera a aperta a Orban sul multilinguismo europeo
Il commissario UE per il multilinguismo Orban ha pubblicato un post sul suo forum che ha giustamente scatenato molte reazioni. Il 14 febbraio 2008 alle ore 12:37 ho mandato il mio commento, con numero di serie 48. Siccome nel marasma di quel forum non riesco nemmeno a ritrovarlo, ripubblico sul mio blog il mio commento come lettera aperta:
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