L'amico Andrea Montagner mi segnala un passo del volume Europa plurilingue dei tipi di Vita e Pensiero (2005), atti di un convegno tenuto all'Università Cattolica. Il passo è il seguente:
Per tutte queste ragioni, nonostante la indiscutibile disillusione che la lingua inglese va sempre di più raggiungendo nell'area comunitaria, è impensabile che il regime linguistico comunitario evolva vervo una scelta per l'uniformità a favore della lingua inglese e comunque a favore di qualsiasi altra lingua, sia questa l'esperanto o l'eurocratese (per tale intendendosi uan sorta di inglese "addomesticato" utilizzato dalla burocrazia comunitaria).
Tenendo presente il fatto che non ho letto il libro, commento solo il passo. Cosa si intende per "regime linguistico comunitario"? Come il recente articolo (2006) Managing Multilingualism in the European Union di Michele Gazzola mostra, pubblicato su su Language Policy, esistono diversi regimi linguistici nella UE a seconda delle situazioni, e tutti riguardanti strutture interne dell'Unione (Parlamento, Agenzie, etc.).
Non c'è, e non può esserci a livello comunitario, un "regime" linguistico (brutta parola! politiche linguistiche, semmai) riguardante i cittadini d'Europa come un unico insieme, perché questo è demandato agli Stati membri.
È vero che non può essere scelta una lingua X per "uniformare" i "regimi" linguistici UE. E ci mancherebbe. La diversità linguistica è un diritto e un patrimonio da preservare e da promuovere. Siamo tutti d'accordo su questo. Ma le politiche linguistiche UE lassez faire analizzate spietatamente nel libro di Robert Phillipson English-Only Europe? questo diritto lo stanno violando, di continuo, a favore di una cieca e incontrollata avanzata di uno strano inglese che il passo citato giustamente stigmatizza (e questa è una realtà).
Il povero esperanto, negletto com'è dalle istituzioni, non c'entra niente! Poiché la sua origine è di lingua artificiale, gli vengono proiettate tutte i vizi nefandi che l'inglese ha oggigiorno sul Vecchio Continente e oltre, ma in realtà da un punto di vista sociolinguistico è una lingua minoritaria, piuttosto che una lingua egemone...
Nello specifico, delle politiche linguistiche coordinate verticali a tre livelli sono l'unica soluzione, secondo me, dove l'esperanto ha delle chance e l'Unione Europea anche.
1. lingua regionale / minoritaria / a scelta (gallego, napoletano, gallese...)
2. lingua nazionale / territoriale (italiano, francese, tedesco, inglese...)
3. lingua sovrannazionale (esperanto)
in pratica, gli stati membri dovrebbero garantire a ciascuno una lingua identitaria (livello 1) per mantenere e preservare la diversita' culturale e linguistica (principio della personalità), una lingua nazionale sulla base del territorio (livello 2: esempio: se abito in Olanda per un certo tempo, sono tenuto a sapere l'olandese per far parte della vita civile del Paese) e l'esperanto come terzo livello per garantire un minimo comune denominatore che garantisca la possibilità di comunicare tra tutti gli europei.
Attenzione!
L'esperanto dovrebbe essere "semplicemente" permesso, non imposto. Permettiamo ai nostri studenti di ogni ordine e grado di studiarlo, e i governi dovrebbero incentivare la cosa con progetti comuni, perché no, europei, di acculturazione tramite questo veicolo.
In questo modo si aggirerebbe l'eurocrazia di Bruxelles, che è dedita principalmente a questioni amministrative, e non politiche. Ma si sta parlando del dover-essere, non dell'essere.
In altre parole: lasciate stare il povero esperanto, che non ha mai fatto male a nessuno!
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